Prof. Rosario Bellia –fisioterapista

– Presidente Associazione Italiana Taping Kinesiologico

– Fisioterapista Nazionale italiana F.I.H.P.

– Docente di taping kinesiologico in traumatologia sportiva al master post grado presso l’Università di Valencia(Spagna)

Questo articolo è stato realizzato in collaborazione con il collega italo-argentino

Guillermo Exequiel Waisman  exequielel15@hotmail.com

Il termine spasticità deriva dalla parola greca σπασμός (spasmos) che significa ‘crampo’. Con questo termine si designa un segno clinico che consiste in un abnorme aumento del tono muscolare, che può originare da una lesione del cervello o del midollo spinale. Una caratteristica della spasticità è che l’aumento del tono muscolare dipende dalla velocità del movimento, ovvero aumenta con l’aumentare della velocità del movimento. Essa provoca il cosiddetto effetto a “serramanico” nei movimenti passivi degli arti e coinvolge sia i muscoli agonisti sia antagonisti, interferendo così sia con la flessione sia con l’estensione di un segmento corporeo (cocontrazione). La spasticità è sempre accompagnata da un disturbo della forza muscolare ed è oggi considerata un segno clinico “parapiramidale” nel senso che non riguarda direttamente né il sistema piramidale né quello extrapiramidale.

Le cause della spasticità a livello neurologico sono una lesione del fascio piramidale del primo motoneurone accompagnata da una lesione del sistema extrapiramidale, quindi delle vie discendenti dalla corteccia motoria. Queste parti del sistema nervoso centrale controllano ogni movimento volontario tramite le loro fibre rispettivamente eccitatorie o inibitorie. Nel soggetto colpito da un tale danno, però, c’è uno squilibrio tra stimolazione e inibizione di un muscolo o di un gruppo di muscoli, soprattutto perché mancano gli impulsi inibitori. Da questo si hanno l’aumento del tono muscolare (ipertonia spastica), l’iperreflessia osteotendinea e la contrazione involontaria ed eccessiva dei muscoli interessati.

La spasticità può essere dovuta a un danno cerebrale subìto durante la prima infanzia, spesso causato da una mancanza di ossigeno durante il parto. Altre possibili cause sono infezioni della madre durante la gravidanza (ad esempio toxoplasmosi, rosolia), intossicazioni o malnutrizione del feto. Nel neonato, un danno al sistema nervoso può svilupparsi come complicazione d’infezioni come l’encefalite, la meningite, la mielite. In tutti questi casi si parla di paralisi cerebrale infantile. I sintomi di una paralisi spastica si manifestano in modo molto vario: vanno da un lieve “impaccio” della motilità fino alla perdita totale del controllo dei muscoli
scheletrici. Secondo l’area del corpo interessata, si parla di:

  • Monoparesi – quando è colpito un solo arto
  • Paraparesi – paralisi a carico dei due arti inferiori
  • Emiparesi – paralisi limitata a un solo
    lato del corpo
  • Tetraparesi – paralisi che colpisce tutti e quattro gli
    arti; può comprendere anche la muscolatura del tronco e del collo.

In generale la spasticità influisce di più sui muscoli antigravitari, cosicché negli arti superiori predominano gli spasmi in flessione, mentre negli arti inferiori prevalgono gli spasmi in estensione (schema patologico). Oltre a sintomi come aumento del tono muscolare, rigidità dei muscoli colpiti, spasmi a volte molto dolorosi e contratture, il soggetto può presentare problemi di equilibrio e di coordinazione dei movimenti (esempio: in alcune posizioni del braccio la mano può aprirsi)(atassia), difetti del linguaggio (disartria) e della deglutizione (disfagia), strabismo. Alla spasticità non sono associati per forza una perdita della capacità intellettiva o un ritardo mentale. Ci sono diversi fattori che possono aumentare la spasticità, come ad esempio infezioni, temperature estreme, umidità. Anche fattori psichici, come lo stress emotivo e fisico, la paura e l’eccitazione, possono aggravarla.

Secondo la definizione di Lance (1980) la spasticità è un ipertono muscolare dovuto a un “aumento velocità-dipendente del riflesso tonico da stiramento”. Secondo questa definizione si può osservare la spasticità durante la mobilizzazione passiva di un arto, avvertita da parte dell’esaminatore come resistenza. Durante questa prova spesso avviene il fenomeno del coltello a serramanico. Con questo s’intende l’improvviso rilassamento della rigidità dell’arto in esame, dopo la resistenza inizialmente opposta alla flessione passiva. Inoltre, il soggetto presenta i cosiddetti segni piramidali, cioè riflessi patologici e riflessi primitivi, ad esempio il segno di Babinski Poiché finora non esiste una terapia definitiva per la paralisi spastica, ogni terapia deve mirare alla minimizzazione dei sintomi come pure a migliorare il più possibile la capacità motoria. Infine, un importante obiettivo dei trattamenti consiste nella prevenzione dei problemi a lungo termine. Normalmente la terapia è interdisciplinare, cioè si basa sulla combinazione di fisioterapia e terapia farmacologica. Inoltre, il trattamento deve essere individualizzato, perché in ogni paziente la spasticità assume espressioni diverse, se non altro per la pluralità delle cause. Molti trattamenti fisioterapici cercano di ridurre gli spasmi, ad esempio mobilizzando gli arti paretici. Sono utili ausili e apparecchi ortopedici (ad esempio ortesi come i tutori gamba-piede, splint polso-mano, deambulatori, sedie a rotelle). Secondo un’originale interpretazione, che sta alla base della teoria riabilitativa nota con il nome di “Riabilitazione neurocognitiva”, la “cosiddetta spasticità” potrebbe essere efficacemente superata grazie a particolari esercizi “conoscitivi” che, attraverso il coinvolgimento della sensibilità, dell’attenzione e di altre funzioni corticali “superiori”, permetteranno al soggetto un riapprendimento della funzione motoria evolutiva, per armonizzare il “gesto finalistico”.

I trattamenti terapeutici dovrebbero avere come obiettivo primario il miglioramento della qualità di vita del paziente tramite l’acquisizione di strategie individualizzate per gestire la spasticità.

In conclusione, non esiste un trattamento specifico e univoco per tutte le forme di paralisi cerebrale infantile, sebbene esista adesso un gran numero di metodiche riabilitative, spesso utilizzate in modo stereotipato e acritico. Alcuni di questi approcci (es. il metodo Bobath), validati dalla comunità scientifica, possono essere di una certa utilità se inseriti in un progetto terapeutico globale; il metodo Doman, Vojta e tanti altri. Il progetto riabilitativo deve quindi necessariamente essere individualizzato e costantemente sottoposto al vaglio dei professionisti del team riabilitativo in sintonia con il percorso di cambiamento del soggetto. E’, infatti, opportuno evitare la rincorsa affannosa e inutile di una “normalità” estetica e funzionale del movimento, concentrando piuttosto l’intervento sull’interpretazione delle strategie di adattamento messe in atto dall’individuo. Occorre ricordare che il soggetto con paralisi cerebrale infantile ha subito un danno più o meno esteso dei propri sistemi di elaborazione degli input percettivi e degli output motori. Egli è pertanto in grado di apprendere come sfruttare le proprie capacità residue, ma non è in grado di apprendere la “normalità”, cioè di utilizzare spontaneamente e automaticamente gli schemi motori fluidi e complessi tipici di un sistema nervoso centrale intatto. Alla luce delle continue scoperte nel campo delle neuroscienze, che ne hanno influenzato la costante evoluzione Davies ha codificato alcuni concetti sulla rieducazione del paziente adulto con disturbi neurologici. Il paziente deve essere preso in carico tenendo conto dei bisogni e delle possibilità di recupero, senza tralasciare il contesto familiare, sociale e lavorativo. Qualunque attività venga proposta va progettata sulle effettive possibilità del paziente, in un contesto “funzionale”, in modo che sia contestualizzato e “finalistico”. Le attività da proporre vanno nella direzione del movimento normale, che è fondamentale conoscere al meglio, per essere in grado di valutare i deficit motori del paziente. Il trattamento, va inteso come un continuo scambio tra terapista e paziente, tenendo conto che il corpo impara ciò che sperimenta. Con l’approccio riabilitativo di Davies è limitata l’importanza rispetto all’ipertono, ove presente, quanto piuttosto ci si concentra sulla debolezza, che è considerato il vero grosso problema da affrontare per rendere funzionale la rieducazione.

Il progetto rieducativo ha come obiettivo primario in un paziente debole, il recupero della stabilità centrale (core stability) per poter ottenere dei risultati anche a livello distale. In questo nuovo modo di vedere la rieducazione del paziente adulto con disturbi neurologici è fondamentale l’osservazione funzionale iniziale, che deve essere ripetuta durante tutto il programma riabilitativo per “calibrare” in modo sapiente il progetto rieducativo. Nel 1988 il fisioterapista italiano Lucio Rinaldi pubblica una nuova tecnica di riabilitazione motoria da lui ideata, specifica per paralisi da lesioni cerebrali a cui dà il nome di “Vincoli muscolo-cutanei”. Il presupposto scientifico di questo lavoro è basato sulle possibilità neurofisiologiche offerte dai recettori cutanei come fonte informativa per il Sistema Nervoso Centrale. Questo approccio metodologico risulta essere innovativo in quanto precedentemente si era posta l’attenzione solo sui recettori articolari e muscolari, gli unici ritenuti capaci di dare movimento. Secondo invece gli ultimi studi dell’epoca sono i recettori cutanei che hanno un ruolo facilitatorio per l’attivazione dei recettori muscolari e articolari specifici. E più esattamente questi ultimi non possono esprimersi completamente senza il supporto dell’informazione cutanea. Riprendendo le conclusioni di due neurofisiologi svedesi Valboo e Johanson (1981,1983), che identificano particolari recettori cutanei che reagiscono alla pressione diretta e agli stiramenti tangenziali, questa tecnica di Rinaldi ha avuto poca diffusione, anche se riveste ancora un notevole interesse metodologico. Lo scopo inizale è quello di stimolare questi specifici recettori cutanei, poi essi saranno capaci di attivare intensamente anche quelli articolari e muscolari, tanto utili per la produzione del movimento. Dal rapporto “stretto” tra cute e muscolo soggiacente (attraverso la fascia) questi bendaggi vengono chiamati “Vincoli”.

I muscoli bersaglio sono quelli paralitici e cioè tutti quelli appartenenti ad una specifica catena cinetica deputata a svolgere una determinata azione.Un sistema di attivazione muscolare così concepito mira al ripristino non solo del tono dei singoli muscoli, ma anche alla capacità coordinativa tra i vari distretti. Capacità, che nella paralisi cerebrale infantile viene subito meno in seguito a lesione cerebrale (Lucio Rinaldi 1990).

Applicazione deltaping kinesiologico nelle patologie neurologiche

Il taping kinesiologico può essere una tecnica aggiuntiva interessante a completamento del trattamento riabilitativo vero e proprio, per continuare lo stimolo di armonizzazione del “tono muscolare” – balance

Effetto globale del taping kinesiologico

Azione esterocettiva (effetto cerotto):  “ segnale di allerta“

  • trazione uniforme sull’area cutanea di adesione
  • azione sui tessuti sottostanti che stimola i recettori delle varie strutture anatomiche

Azione propriocettiva: “ facilita le afferenze propriocettive perturbate”

La percezione di un arto nello spazio e’ dovuta ai recettori le cui informazioni vengono integrate
a livello corticale:

  • Organi del Golgi , legamenti e tendini, posizione e direzione movimento
  • Corpuscoli del Pacini, articolazioni, stimolati dagli stiramenti bruschi
  • Recettori del Ruffini, articolazioni, invia segnali nei movimenti passivi
  • Fusi neuromuscolari, muscolo, inviano segnali negli allungamenti delle fibre

Stimolazione dei meccanocettori:

  • Mazzoni sensibile da 2 a 30 gr. di pressione
  • Pacini sensibile a forti pressioni
  • Meissner sensibili a 1 % di millimetro di stiramento
  • Stimolazione cutanea
  • Stimolazione fusale
  • Ganglio, fascio paleospinotalamico

Tutte queste informazioni arrivano percorrendo, il midollo spinale, il cervelletto e giunti alla corteccia cerebrale, avviene l’integrazione delle informazioni e la “risposta”, anche a livello posturale (lo stimolo propriocettivo podalico inconsapevole). Stimoli cutanei evocano riflessi complessi (importante nella spasticità).Si sfrutta l’effetto presenza che è un’estensione del segno locale;

L’informazione cutanea costante e ripetitiva, ma mai identica, produce treni di stimoli che arrivano dal:

  • midollo spinale
  • tronco dell’encefalo
  • aree corticali e sottocorticali

Tale integrazione a livello del sistema nervoso centrale produce nuove integrazioni, che si estrinsecano perifericamente a livello del sistema tonico posturale. Questo sistema ci permette la posizione ortostatica, e di lottare contro la forza di gravità; un disequilibrio si traduce in una reazione muscolare di compenso.

Funzione dei nastri sui muscoli:

qualsiasi nastro applicato sulla cute produce un sostegno e una variazione della funzione muscolare

  • La pelle, la mucosa e i meridiani sono il riflesso superficiale dello stato profondo di salute degli organi, muscoli, articolazioni, capsule
  • Lo stato patologico di un muscolo, articolazione, organo si manifesta con una debolezza
    muscolare associata all’area
  • Un muscolo contratto patologicamente proietta sulla pelle o sulla mucosa una perturbazione
    neurologica che modifica il potenziale di contrazione muscolare
  • Una stimolazione muscolare o linfatica può ripristinare il potenziale di contrazione del muscolo
    se eseguita correttamente ( kinesiologia – Louis Nahmani )
  • Stimoli cutanei modulano l’eccitabilità di particolari pool di motoneuroni (la stimolazione tattile di
    molte aree cutanee provoca la contrazione riflessa di muscoli al di sotto dell’area stimolata (segno locale – Karl Erik Hagbard).

Esercitando la pressione sull’organo di Golgi in direzione del ventre muscolare si stimola un rafforzamento del muscolo (stabilità) e nel senso opposto per “indebolirlo” (decontratturarlo). Si riporta lo studio compiuto dal collega italo-argentino Guillermo Exequiel Waisman , che ha applicato il taping elastico seguendo queste indicazioni in modo veramente efficace.

PRIMA – Bambino di tre anni portatore di tetra paresi spastica, con i movimenti osservati durante la deambulazione, si evidenzia: debolezza, sfiducia, desidera esplorare a piedi, ma continua a piangere. A causa della retrazione di alcuni muscoli non consente all’arto inferiore di essere allineato (ginocchio, anca e piede). L’asse di carico non permette un movimento equilibrato, di conseguenza la modalità di scaricare il peso è inefficiente e quindi s’innesca un circolo vizioso di retrazioni e debolezze (muscoli vinti e vincitori –Souchard 2000). Questa fase di valutazione iniziale è stata molto importante per fare un serio progetto riabilitativo con l’utilizzo anche del taping elastico.

1° Filmato di Guilliemo  Si riporta lo studio compiuto dal collega italo-argentino Guillermo Exequiel Waisman , che ha applicato il taping elastico seguendo queste indicazioni in modo veramente efficace.

DOPO – Il piccolo paziente è stato sottoposto al trattamento con il metodo Polder: Lunedì, Mercoledì e Venerdì per la durata di cinque a dieci minuti, in modo molto intenso. I risultati terapeutici sono stati molto efficaci con l’aggiunta in sinergia del taping elastico in modalità inibitoria ai muscoli adduttori, tricipite surale e stimolante dei muscoli dorsi flessori e pronatori del piede. Sempre in modo giocoso per avere la massima collaborazione da parte del bambino durante i trattamenti. Il pediatra ha contattato telefonicamente Guillermo per dire, che per adesso si poteva evitare l’intervento chirurgico di allungamento degli adduttori che era stato programmato a breve.

2° Filmato di Guilliemo

Conclusione:

Il taping kinesiologico® inserito nel progetto riabilitativo in modo “sapiente” può dare un valido aiuto in sinergia con le altre tecniche riabilitative, per ricercare una migliore armonia del tono muscolare in una
visione “funzionale” e migliorare la qualità di vita del paziente.

La modalità applicativa specifica prevede:

  • l’azione decompressiva sui muscoli spastici con l’applicazione del nastro nella posizione di massimo allungamento
  • l’azione stabilizzante sui muscoli ipotonici ed allungati
  • un’azione in correzione meccanica delle articolazioni, che avendo una funzione “alterata” non consentono una postura corretta, e inoltre interferiscono nella biomeccanica fisiologica del cammino e delle funzioni “primarie” in una visione di “terapia occupazionale”
  • Le applicazioni non devono evocare riflessi complessi, quindi bisognerà evitare alcune zone corporee ( es. segno di Babinski, ecc.)